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Disabilità e lavoro in Italia: tra obblighi, scorciatoie e opportunità mancate

27 ott 2025 | 5 minuti di lettura
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Parlare di disabilità nel mondo del lavoro in Italia significa fare i conti con una realtà complessa e spesso deludente, anche se normata. Sulla carta, la legislazione tutela i diritti delle persone con disabilità: la Legge 68/99, introdotta oltre 25 anni fa, prevede il collocamento mirato e quote obbligatorie di assunzione nelle aziende di una certa dimensione. Ma nella pratica, l’inclusione è ancora largamente incompiuta, e le tutele spesso si riducono a formalità poco efficaci.

Un quadro di numeri che fa riflettere

Secondo il XXVI Rapporto sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva del CNEL del 2025, in Italia solo un terzo delle persone con disabilità in età lavorativa risulta occupato. Più nello specifico:

  • Solo il 33% delle persone con disabilità gravi ha un impiego, mentre il 57% di quelle con disabilità non grave è occupato.
  • La media nazionale di occupazione, per confronto, è oltre il 62%.
  • Il divario occupazionale tra persone con e senza disabilità si attesta intorno al 25%, uno dei più alti d’Europa.
  • Il tasso di disoccupazione tra le persone con disabilità è quasi doppio rispetto alla media nazionale (circa il 20% contro l’11%).
  • Oltre al lavoro, la qualità della vita è minacciata da condizioni di povertà e esclusione sociale: circa il 30% delle persone con gravi limitazioni vive in situazioni di disagio economico, contro poco più del 21% della popolazione generale.

Questi dati mostrano che il problema non è solo l’accesso al lavoro, ma anche la qualità delle condizioni di inserimento e la sostenibilità economica dei percorsi occupazionali.

La legge c’è, ma deve essere applicata al meglio

La Legge 68/99 rappresenta una base normativa importante, introducendo quote di riserva e strumenti di collocamento mirato che, se applicati seriamente, possono cambiare la vita di molte persone. Ma questa efficacia dipende dalla qualità delle convenzioni stipulate, dalla profilazione delle competenze, dalla capacità di attivare accompagnamenti e accomodamenti ragionevoli (spazi, orari, strumenti), e dalla formazione continua di manager e colleghi.

Purtroppo, però, persistono criticità che minano la piena applicazione:

  • Procedure lente e burocratiche che scoraggiano l’inserimento tempestivo.
  • Strategie di elusione delle quote obbligatorie tramite riorganizzazioni degli organici o esternalizzazioni.
  • Scarso investimento in percorsi di mentoring, mobilità interna e sviluppo delle carriere per lavoratori con disabilità.

Il risultato è spesso un’inclusione simbolica, con poche assunzioni e meno ancora opportunità di crescita, che si traduce in un ciclo di esclusione e marginalità.

L’inclusione reale è prima di tutto una sfida culturale

Non basta affermare la diversità e l’inclusione se mancano i processi e l’impegno concreti. La “campagna D&I” rischia di diventare mera facciata senza strategie di lungo termine, specialmente in un contesto come quello italiano, dove barriere culturali, pregiudizi e mancanza di consapevolezza restano forti.

Le persone con disabilità sono spesso viste come un costo, quando in realtà molti accomodamenti sono poco onerosi ma ad alto impatto: software accessibili, strumenti adattati, orari flessibili, modalità di lavoro ibrido. Occorre ripensare l’approccio, mettendo al centro le competenze e la gestione attenta delle necessità individuali, non solo la formalità delle quote.

Un problema ulteriore è che le carriere di chi con disabilità entra nelle aziende restano spesso bloccate: pochi percorsi di mentoring, nessun KPI su progressione e pay equity, scarso coinvolgimento nelle decisioni.

Soluzioni concrete per un inserimento di qualità

Un percorso di inclusione efficace passa attraverso diverse leve operative:

  • Inserire accessibilità by design, dai processi di selezione (descrizioni accessibili, sistemi ATS compatibili) agli ambienti di lavoro (spazi, strumenti, riunioni con captioning)
  • Predisporre accomodamenti ragionevoli e tempestivi, flessibilità e trasparenza nelle procedure
  • Valutare competenze prima dei titoli, con prove pratiche accessibili e focus sul potenziale
  • Monitorare tassi di assunzione, passaggio di livello, retribuzione e uscite con KPI pubblici
  • Formare manager e team sulla disability etiquette, bias impliciti e gestione senza medicalizzazione
  • Estendere le politiche di inclusione lungo la filiera, coinvolgendo fornitori e partner

Questi strumenti esistono già all’interno del quadro normativo, ma devono essere applicati con volontà e rigore per trasformare una semplice assunzione in un percorso professionale di qualità.

La sfida vera: valorizzare le persone, non i simboli

Il nodo cruciale resta la cultura aziendale: i talenti con disabilità non sono “quote” né storie edificanti, ma professionisti con competenze e aspirazioni. Il mercato italiano paga caro il persistere di un sistema che premia la forma e penalizza la sostanza.

Per cambiare serve un cambio di paradigma che porti competenze al centro, promuova accessibilità nativa e politiche trasparenti e misurabili. Altrimenti, ogni comunicazione resterà solo una bella facciata, senza incidere veramente sulla vita delle persone.

 

Elisa Vavassori, Diversity Manager, che ogni giorno lavora su questi temi e li ha vissuti in prima persona ci ha parlato della sua esperienza e di queste tematiche. Guarda l’intervista integrale qui in basso